L’INIZIO

Blu. Giallo. Giallo. Verde. Uhm… ora Rosso. Verde. Ancora Blu… premo ancora Giallo. Beep Beep Beep… “Combinazione corretta”.

Mi chiamo John e queste sono le mie ultime memorie, gli ultimi ricordi di un male che è avanzato dentro di me. Li ho scritti nella speranza che qualcosa o qualcuno li potesse rendere noti e se li state leggendo significa che la mia ossessione per la perdita della memoria mi ha sopraffatto e che qualcuno ha deciso di far sapere che… non è stata solo un’ossessione.

LA MIA STORIA

“Senza ricordi. Dimenticando tutto… come può essere la vita senza più ricordi del proprio passato?” me lo ripetevo ogni giorno come un’ossessione, un pensiero fisso. Incominciato tanti anni prima.

All’età di 14 anni avevo iniziato a registrare tutte le password su una nota del Block Notes di Windows nella speranza di metterle al sicuro anche dalla possibilità di dimenticarle. Passai poi ad un foglio Excel protetto da una password che mi dicevo non avrei mai potuto dimenticare. Poi arrivò il turno di Evernote ed ancora una password diversa da tutte le precedenti dicendomi che se avessi perso questa “ero finito”. Come avrei potuto recuperare i codici della Banca? delle carte di credito? I numeri dell’antifurto e della porta di ingresso di casa? Il nome del mio cane? se tutto un giorno si fosse dileguato dalla mia memoria. Ma trovavo sollievo, seppur temporaneo, nel dirmi che “un giorno avrei dimenticato tutto anche il fatto che stavo dimenticando”.

Negli anni le situazioni di reale amnesia che riuscivo ad “intercettare” aumentarono! La memoria breve spesso si faceva gioco di me e così dimenticavo di ricordare dove avevo riposto le chiavi dell’auto, oppure il telefono o ancora le ultime telefonate che avevo ricevuto. Ci ridevo sopra. Poi ripensavo alle mie ultime azioni, ripercorrendo gli ultimi passi all’indietro come se potessi premere il tasto “Rewind” della mia vita. Ma seppure strambo e senza una logica, questo metodo funzionava sempre. La mente ricostruiva i passaggi e ricordavo tutto. E la vita riprendeva. A volte questo giochetto non bastava e allora mi sedevo, facevo un forte respiro e pensavo ad altro… liberandomi dall’ansia dell’aver dimenticato. E con questo riuscivo a recuperare i vuoti di memoria più arcigni.

Tutto questo fu l’inizio di un lento peggioramento che trasformò la mia ossessione in qualcosa di reale. Lo capii dopo molto tempo, dopo aver ingaggiato una forma di intelligenza artificiale che a suo tempo immaginavo essere solo uno stupido gioco della mia infanzia.

Acquistai su EBAY quello che mi sembrava perfettamente adatto al mio scopo, soprattutto ora che mi avvicinavo all’età di 60 anni. Dopo aver letto libri e libri sulla demenza senile e la perdita della memoria, mi imbattei in un sito web che riportava diversi casi di persone che erano riuscite a rallentare la perdita della memoria allenandola e così evitando i fenomeni più acuti.

“Dovevo tenere la mente allenata!” – questa sembrava essere la cura e così feci in modo che quell’oggetto miracoloso mi arrivasse subito.

Passarono appena 3 giorni e l’ansia dell’attesa non riuscì a farsi gioco di me in così poco tempo. Appena la scatola varcò il cancello di casa mi lanciai ad aprirla, spezzando il cartone, bucando la plastica e sul tavolo della veranda inserii le batterie. Si, ero eccitato come un bambino, tra lo stupore della novità ed i ricordi dell’infanzia che affioravano alla mente e mi creavano il ricordo di quel simpatico coso colorato.

Beep. Beep. Dong.
“Ciao, sono Memory. Un gioco che ti aiuterà a mantenere allenata la tua memoria. Vuoi iniziare a giocare? Premi il bottone rosso. Se vuoi aumentare il livello di difficoltà premi il bottone blu”.

I suoni, quei suoni, erano talmente familiari da riportarmi indietro nel tempo, molto indietro. Ai giorni in cui, nella mia camera, sedevo a gambe incrociate per terra, di fronte al letto, facendo lampeggiare il soffitto della stanza di quattro colori… rosso, verde, blu e giallo. I ricordi erano talmente vividi nella mia mente da farmi credere di essere ancora lì, protetto tra le mura di quella stanza dove niente e nessuno mi avrebbe mai potuto fare del male, eccetto le paure che dentro di me si stavano già facendo spazio.

Iniziai subito a stabilire un programma di allenamento giornaliero. Decisi di iniziare tutte le mattine con almeno 2 test di livello medio, dopo colazione.

Passarono così diverse e molte settimane, mesi, fintanto mi stufai perché i test erano ormai diventati troppo semplici e li superavo senza difficoltà. Così decisi di passare al livello superiore e di portare i test giornalieri a 3, mantenendo l’ultimo alla sera, generalmente dopo le 22 per verificare la lucidità della mia mente a fine giornata.

I giorni continuarono a scorrere ed i test con Memory diventarono sempre più complessi ed i risultati che ottenevo erano strabilianti. Avevo raggiunto in pochi mesi quello che ritenevo essere un risultato impensabile al ricordo di come tutto ebbe inizio. La mia memoria di breve ora era perfetta, rispondeva giorno dopo giorno sempre meglio. Anche le piccole amnesie erano scomparse e davo allora tutto il merito del risultato all’allenamento, lasciandomi convincere che i miei progressi dipendessero solo dagli esercizi che facevo. Ma allora ero troppo ottimista per pensare che fosse altro a garantirmi questo enorme miglioramento.

Erano passati 2 anni dall’acquisto di Memory e facevo di tutto per portarlo con me ovunque andavo, addirittura assicurandomi di avere sempre un pacco di batterie di sicurezza nel caso in cui mi fossi trovato a secco. New York, Los Angeles, Tokyo, Milano, Roma, Saint Moritz, Baku, Vancouver… ovunque andassi per lavoro o per piacere, nella stessa borsa del mio iPad, si trovava anche quel coso.

Spesso cercavo di convincermi che era venuto il momento di terminare la terapia con gli esercizi, ma la paura di perdere tutti i progressi che avevo ottenuto mi impediva di farlo. Continuavo e ancora continuavo. Era diventata una medicina, forse addirittura una droga che si era impossessata della mia volontà. Da solo non sarei stato in grado di decidere di smettere, convincendomi di essere totalmente guarito e che anche l’ossessione fosse sparita.

Ma un giorno decisi con mia moglie di provare ad interrompere l’allenamento per fasi e così verificare se i miglioramenti fossero stabili. Inoltre volevo scoprire se, oltre alla memoria, avessi migliorato anche altri aspetti che negli anni mi turbavano e mi avevano tolto la sicurezza in me.

Mi resi conto nei giorni che susseguirono alla decisione di abbandonare Memory che la lucidità dei miei pensieri era di fatto migliorata e così anche la velocità delle risposte e dei ragionamenti. L’allenamento sulla memoria aveva di fatto giovato alla mia mente. “Sbalorditivo!” mi dicevo soddisfatto e con un largo sorriso sul viso. Ciò nonostante volevo verificare se il livello raggiunto fosse stabile e così interruppi definitivamente i test di allenamento con Memory. Lo rimisi nella sua scatola originale e lo riposi in solaio.

Io e mia moglie fummo molto soddisfatti inizialmente. Tutto in me sembrava reagire nel migliore dei modi. Captavo ogni segnale e non scordavo più nulla. La mia sicurezza era cresciuta e tutto contribuiva ad una maggiore soddisfazione personale. Ridevo… e al lavoro anticipavo i giovani con maggiore brillantezza sentendomi più reattivo rispetto alla media dei miei colleghi.

Ma ad un tratto e senza nessuna spiegazione le cose andarono diversamente ed ebbero uno strano ed inaspettato epilogo.

La memoria iniziò di nuovo a darmi piccoli segnali di interruzione. Ora dimenticavo delle parole o addirittura le scambiavo con altre. I ragionamenti spesso si interrompevano e rimanevano fermi al pensiero precedente. Se vedevo un cane capitava che a domanda rispondevo “un’auto”, dicevo “quel cane va molto veloce… chissà che motore monta?!” e subito mia moglie mi correggeva con “cane? intendi quell’auto!”. Io deluso la guardavo e le dicevo “scusami, si l’auto… ho detto cane? si vede che sono sovrappensiero. Quel cane deve essermi piaciuto molto se mi è rimasto così tanto in mente”.

Ma le cose continuarono a peggiorare ed arrivarono in poche settimane a preoccuparmi annullando tutti i progressi precedenti. Avevo perso tutto quello che avevo ottenuto negli ultimi anni.

La paura del baratro che si visualizzava di fronte ai miei occhi non faceva che convincermi che era venuto il momento di riaccendere quel coso.

John: “Carol. Dove hai messo quell’affare…. uhm…. dai non mi ricordo… Me… Mem… Memoryyy?”
Carol: “Ah. Certo, Memory. L’hai ritirato tu in solaio! non ti ricordi? Nello scatolone nero… con dei libri”
J: “Ok. Grazie amore! Vado a riprenderlo… voglio ripartire coi test, subito!”
C: “Sei sicuro? non pensi che stavolta sia meglio tornare da uno specialista? piuttosto che affidarsi a quella stupida macchina!!!”
J: “Sarà pure stupida ma mi ha aiutato facendomi sentire meglio… non dire altro per favore”

Avrei dovuto ascoltare il suggerimento di mia moglie. Ma allora non potevo immaginare quello che avrei scoperto dopo.

Le cose con i nuovi allenamenti con Memory non andarono come prima e mi trovai dopo settimane allo stesso punto nonostante applicassi lo stesso metodo precedente. Mi scontrai subito con una triste realtà. Surreale, paragonata a prima. Non c’erano più benefici ma bensì una rabbia sempre più profonda e accecante.

Verde. Rosso. Verde. Blu… Beep. Beep. “Combinazione errata, hai fatto due errori. Riprova e controlla.” Eppure stavolta ero sicuro di essermeli ricordati correttamente. E’ già il terzo test che sbaglio questa settimana. Riproviamo ora. “Ma come è possibile Memory… li avevo in testa tutti, tutti…” – gridavo dallo studio con mia moglie che correva per capire se mi fosse successo qualcosa di grave.

C: “John, tutto ok?”
J: “Si… questa maledetta macchina mi sta ancora facendo arrabbiare… deve essere danneggiata! ricordavo tutti i colori… come è possibile?”
C: “Sarai stanco tesoro. Sono tre settimane che viaggi e non ti fermi. Smettila con le tue persecuzioni. Potrebbe essere solo qualcosa di passeggero…?”
J: “Come dieci anni fa… Ti ricordi il medico. Quel maledetto mi aveva già pronosticato uno stato degenerativo dovuto a demenza senile in fase accelerata. Allora avevo 48 anni. E poi, l’allenamento mi ha aiutato, ha rallentato quello che era…”
C: “E allora continua. Cosa devo dirti? continua con quella cosa…”
J: “Tu non vuoi ascoltare… sto sbagliando tutti i test. Ma non li sto sbagliando veramente. E’ come se…”

Decisi di interrompere la frase e di troncarla lì, nel mezzo di una affermazione che avrebbe turbato me stesso prima ancora che lei. Stavo per dire qualcosa che non avrei mai immaginato ma che poi capii essere parte di una verità difficile da credere: quel coso si stava prendendo gioco di me, in lui c’era qualcosa di strano e reale.

“Sei qualcosa o qualcuno?! Chi sei? Chi c’é lì dentro… Cazzo!!!” – ma la macchina non emise nessun rumore, nessun suono, nessuna luce sul soffitto. Sembrava volesse parlare da un momento all’altro, ma in realtà era completamente muta e mi osservava e ora sta ridendo di me. Mi aveva in pugno. Sa di avermi in pugno. Forse stavo diventando pazzo.

LA FINE

Un anno dopo…

Carol mi accompagnava da mesi al Centro di cura per le Demenze senili. Avevo, a detta sua, oltrepassato il limite e ne ero consapevole io stesso nonostante i vuoti di memoria. I test e gli allenamenti con Memory si erano trasformati in atti di pura violenza accompagnati da insulti ed imprecazioni di vario genere. Ero totalmente asservito e abbandonato alla volontà di quella cosa. Avevo cercato di romperla in mille pezzi ma la paura di privarmene, accompagnata dal desiderio di conoscerne la sua reale essenza, mi aveva bruciato il cervello. Quello che doveva essere solamente la soluzione a tutti i miei mali si trasformò nella peggiore trappola della mia mente, beffata più da quella cosa che dall’avanzare degli anni. Non era più in discussione la mia memoria ma la mia sanità mentale. Osservavo la macchina dalla mattina alla sera, appoggiata sul tavolo della stanza 47. Iniziavo gli allenamenti e li interrompevo quasi subito, li sbagliavo tutti. Ero disorientato e non capivo cosa stesse succedendomi dentro. Non sentivo più nessun desiderio, se non quello di abbandonarmi alla fine. Ero consapevole di dove ero e che la memoria non fosse più il mio vero problema.

John passò gli ultimi 12 anni della sua vita in un Centro di cura circondato da macchine che avrebbero dovuto tenerlo impegnato allenandogli la mente e rallentando il peggioramento della malattia. Ma non riusciva ad usarle, teneva ancora Memory al centro del tavolino che gli avevano riservato nella sua stanza. E non si separarono più fino alla fine. Dopo la sua morte, il vecchio proprietario di quell’affare, mi contattò e mi propose una cifra importante, incredibile da non considerare, per riacquistarla. Gliela diedi chiedendogli di “non farmela più vedere e di scomparire con lei”, qualcosa mi diceva che mio marito aveva ragione, quella cosa era demoniaca e lo aveva portato ad impazzire.